martedì 24 giugno 2014

OPINIONI DI UN CLOWN

«Nelle ultime settimane non avevo fatto neppure il più utile degli esercizi: la ginnastica facciale. Un clown, in cui l'effetto principale consiste nell'immobilità della maschera, deve mantenere il viso perfettamente immobile. Un tempo, prima di cominciare a fare i miei esercizi, usavo tirar fuori la lingua per sentirmi realmente vivo e presente prima di staccarmi di nuovo da me stesso. Più tardi abbandonai questo esercizio e presi a guardarmi attentamente in viso, senza far uso di nessun trucco e movimento, ogni giorno per almeno mezz'ora, finché alla fine non esistevo più: dal momento che non soffro di narcisismo, spesso mi sentivo prossimo alla pazzia. Dimenticavo semplicemente che ero io quella faccia che vedevo nello specchio, voltavo lo specchio e quando avevo finito gli esercizi, o quando più tardi, nel corso della giornata mi vedevo per caso allo specchio passando, mi spaventavo: c'era un estraneo nella mia stanza da bagno, al gabinetto; un tizio che non sapevo se fosse serio o buffo, un fantasma pallido con il naso lungo; e allora correvo più in fretta che potevo da Maria, per vedermi nel suo viso. Da quando lei non c'è più non riesco più a fare i miei esercizi: ho paura di diventare pazzo.»

«Udii ancora Monica che posava il ricevitore sul coperchio del pianoforte e cominciava a suonare. Suonava splendidamente, il tocco era perfetto; ma mentre suonava mi sentii infelice da morire e cominciai a piangere. Non avrei dovuto tentare di far rivivere quel momento: quando ero tornato a casa dopo essere stato con Maria e Leo suonava quella mazurca nella sala della musica. I momenti della vita non si possono ripetere e neppure si possono dividere con altri. [...] Già il solo parlare di simili momenti è un errore, volerli ripetere è un suicidio. Vi sono attimi che hanno il valore di un rituale e che richiudono in sé il senso della ripetizione. [...] Tanto diaboliche possono essere le conseguenze del sentimentalismo. Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come si sono vissuti.»

«Ma cerca di capirmi» supplicò lui.
«Maledizione» esclamai «ti capisco. Ti capisco anche troppo bene»
«Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?» domandò Leo.
«Sono un clown» risposi «e faccio raccolta di attimi.»

Heinrich Böll

lunedì 23 giugno 2014

CAPELLI BIANCHI NON RICHIESTI

La quantità di rumore che mi riempie il cervello in questo periodo è incalcolabile, riesco a stare concentrata su una cosa per non più di cinque minuti, e di conseguenza qualunque attività che coinvolga l'intelletto mi costa una fatica immane e un tempo ridicolo per essere svolta. Non riesco nemmeno a meditare per quanto casino fa la mia mente, è come se fosse in modalità rave party a volume estremo e fosse quindi sorda a qualunque mio richiamo.
Di fronte all'inutilità di cercare di mettere sempre le briglie a tutto, e voler controllare qualcosa che in questo momento della mia vita ha chiaramente bisogno correre in giro a caso, magari in tondo, ho gettato la spugna e ho cominciato a prendere le giornate così come arrivano, senza giudizi né bisogno di cambiamenti.
Questa cosa, questo cazzo di demone che ho dentro prima o poi si stancherà di correre, si fermerà e mi dirà: «Ok Vale, e adesso che cosa facciamo?».
Ho trascorso quasi tutta la mia vita a cercare di controllare ogni mia singola azione, di metterla in riga per scongiurare eventuali spiacevoli conseguenze, sempre lì con lo strofinaccio in mano com'era e com'è tuttora la mamma, e che cosa ho ottenuto? Esattamente quello che ha ottenuto lei: NIENTE, dato che a distanza di vent'anni mio padre continua a lasciare impronte e ditate ovunque, e continua ad allagare metà del bagno solo per lavarsi i denti.
E io?
Io rigida come un manico di scopa, con la fronte corrugata (che se non la smetto mi verrà una ruga così fonda che potrò usarla come un portariviste), ansiosa, preoccupata, tesa, col mal di pancia... no, ma vaffanculo a questa guerra continua di cui non importa un cazzo a nessuno tranne che a me, e che mi sta portando soltanto dei capelli bianchi non richiesti.
Anche scrivere è diventato difficile, di nuovo, quasi impossibile.
Mi sale l'Alien nello stomaco ogni volta che ci devo provare perché lo so poi come va a finire. Se non tieni tutto sotto controllo, dice la Santa Inquisizione, e poi ti lasci andare all'atto della creazione E TI PIACE??!
Che cosa orribile provare piacere, nevvero?

lunedì 9 giugno 2014

COLAZIONE DA TIFFANY

«[...] non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto dove io e le cose faremo un tutto unico.
Non so ancora precisamente dove sarà. Ma so com'è.» Sorrise e lasciò cadere il gatto sul pavimento. «È come da Tiffany,» disse. «Non che me ne freghi niente dei gioielli. I brillanti, sì. Ma è cafone portare brillanti prima dei quaranta, ed è anche pericoloso. Stanno bene solo addosso alle vecchie, i brillanti. Maria Ouspenskaya. Rughe e ossa, capelli bianchi e brillanti: non vedo l'ora. Ma non è per questo che vado pazza per Tiffany. Sapete quei giorni, quando vi prendono le paturnie?»
«Cioè, la melanconia?»
«No,» disse, lentamente. «La melanconia viene perché si diventa grassi, o perché piove da troppo tempo. Si è tristi, ecco tutto. Ma le paturnie sono orribili. Si ha paura, si suda maledettamente, ma non si sa di che cosa si ha paura. si sa che sta per capitarci qualcosa di brutto, ma non si sa che cosa. Avete mai provato niente di simile?»
«Abbastanza spesso. C'è chi lo chiama angst
«Benissimo. Angst. Ma che cosa fate, voi, in questi casi?»
«Be', un bicchierino aiuta.»
«Ci ho provato. Ho provato anche l'aspirina. Secondo Rusty, dovrei fumare marijuana, e l'ho fumata per un po', ma mi fa soltanto ridacchiare. Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. È una cosa che mi calma subito, quel silenzio e quell'aria superba: non ci può capitare niente di brutto là dentro, non con quei cortesi signori vestiti così bene, con quel simpatico odore d'argento e di portafogli di coccodrillo. Se riuscissi a trovare un posto vero e concreto dove abitare che mi desse le medesime sensazioni di Tiffany, allora comprerei un po' di mobili e dare un nome al gatto.»

Truman Capote

venerdì 6 giugno 2014

TRIMALCIONE -La prima versione perduta del Grande Gatsby

Quando andai a salutare, vidi che sul volto di Gatsby era tornata un'espressione di smarrimento, come se gli fosse nato un vago dubbio sulla qualità della sua attuale felicità. Quasi cinque anni! Perfino quel pomeriggio c'erano stati momenti in cui Daisy non era stata all'altezza dei suoi sogni - non per causa sua ma per la colossale vitalità dell'illusione di lui. Vi si era gettato con passione creativa, alimentandola ogni momento, addobbandola con ogni splendida piuma che incrociava la sua strada. Non c'è fuoco o gelo che può sfidare ciò che un uomo può conservare tra i fantasmi del suo cuore.

F. Scott Fitzgerald