sabato 31 dicembre 2016

FESTEGGIO QUANDO MI PARE

Quando continuo a scrivere e riscrivere un post senza mai concluderlo, o lo concludo ma cancello tutto quello che ho scritto prima di pubblicarlo, è un segno inequivocabile che il post non funziona e che dovrei smettere di essere un'ostinata testa di cazzo. Questo post in particolare era qui nelle bozze dal 9 dicembre, di tempo ne è passato un bel po'. L'8 dicembre è successo qualcosa di inaspettato e poco piacevole, seppur non grave, che ha dato una batosta tale al mio umore che da allora non si è più ripreso, e scrivere che cos'è successo all'inizio del mese adesso che l'anno è praticamente finito mi sembra davvero stupido, quindi non lo farò.
In alternativa avevo pensato a un post speciale per celebrare l'ultimo giorno del 2016... ma poi mi sono resa conto che proprio non me ne frega una ceppa del Capodanno, del fuori il vecchio e dentro il nuovo, e l'unico pensiero che smuove qualcosa nel mio cuore di pietra è quello di essere riuscita a piazzare sessanta titoli nella libreria di aNobii come avevo deciso di fare a gennaio. Chiaramente non sono pronta per un cambiamento oggi. Quando sarò pronta festeggerò il mio personale Capodanno anche se sarà aprile.


mercoledì 7 dicembre 2016

APOCALISSE NATALE

Non dovrei (poi sto male, mi viene da piangere), ma me ne frego e lo faccio. L'ho già fatto e probabilmente continuerò a farlo. Che cosa? LA NOSTALGICA. 
Oggi ho la netta impressione di aver passato almeno l'ultimo anno a seppellire la nostalgia sotto un cumulo di altre emozioni, per non sentirla, per soffocarla. Nostalgia e malinconia mi hanno sempre fatto visita in almeno due momenti fissi dell'anno, a settembre e a dicembre, ma anche in altre occasioni. Da un punto di vista maturo ed equilibrato non ci vedo nulla di male, sono emozioni come altre, fine della storia, non tiriamoci ulteriori pippe.
Il guaio è che io sono tutto meno che matura ed equilibrata, io le emozioni le sfondo come ho sfondato gli stivali, a marzo, a forza di camminare per le calli veneziane. Il melodramma è mio fedele amico, la tragedia greca viene a cena da me una sera sì e l'altra pure, è tutto "come in un film", a volte ho persino una colonna sonora dedicata (ho guardato troppa televisione in gioventù, troppa davvero). Per tali ragioni, quando mi dedicavo consapevolmente alla nostalgia e alla malinconia finiva che ci sguazzavo per farmi male, alla ricerca di pretesti per mettere il cilicio (come se mi servisse un pretesto oltre al fatto di essere al mondo), per recriminare. E l'unica soluzione che ho trovato all'annoso problema del masochismo è stata quella sbagliata: la negazione.
Va bene, Nostalgia & Malinconia, tra noi è tutto finito, abbiamo chiuso!
Come se a loro fregasse qualcosa. Le emozioni in me hanno lo stesso funzionamento della Creatività: io cerco di piegarle alle mie regole, le vesto col grembiulino col fiocco e le faccio sedere al banco di scuola per insegnare loro come voglio che si comportino... e a loro non frega un cazzo. Si puliscono il moccio con la manica del grembiule, lo imbrattano di proposito con i colori a tempera, lo usano per pulirsi le mani sporche di marmellata dopo aver fatto merenda. Buttano all'aria la sedia e il banco e corrono in tondo urlando, spensierate e felici. Guarda quanto cazzo ce ne frega delle tue regole!
Hanno ragione, comunque. Tentare di imbrigliarle è una follia. Sono nate per essere quello che sono, e niente di quello che potrei dire o fare servirà mai a cambiare questa realtà. Dovrei solo strapparmi di dosso la divisa di rigida insegnante e correre in tondo urlando insieme a loro. Dovrei fidarmi... di dove mi vogliono portare, di quello che mi dicono e che mi fanno fare. È che ancora non ce la faccio. Non mi fido di me. E se poi faccio una cazzata? Se faccio male a qualcuno? Insomma, capite di che cosa sto parlando.
Il guaio, se di guaio si può parlare, è che adesso la Nostalgia non si seda più in nessun modo, pervade interamente la mia persona e si prende tutto il tempo libero che ho, tutte le mie energie. Perché finora di tempo e di energie non ne ha avute nemmeno per sbaglio. Fa bene a imporsi. Picchiami duro, ci sta.
Di recente io e il topo abbiamo festeggiato undici anni di matrimonio (e sedici insieme). Non sono tantissimi, ma sono comunque un bel po'. Undici anni fa avevo ventisei anni, ero ancora giovane... non che adesso io sia vecchia, forse ho più energie di quante ne avevo allora che fumavo quasi un pacchetto di sigarette al giorno e mangiavo cose che voi umani non potete immaginare (tipo le patatine fritte precotte e scaldate nel microonde - tanto vale ciucciare una ciabatta di plastica), ma la mia è una vecchiaia emotiva... sono vecchia dentro, capite? Una decrepita novantenne che se ne va in giro pronunciando frasi che iniziano con «Eh, quand'ero giovane io...» oppure «Una volta, quando non c'erano i social...». Ma adesso i social ci sono, gli smartphone ci sono e non posso farci niente. E non ho più ventisei anni, altro fatto a cui non posso porre rimedio.
E non è finita qui.
Non è finita perché non sono soltanto vecchia dentro, ma riesco ad essere anche un po' adolescente dentro, con tutte le mie fantasie di fuga dalla realtà e dalle responsabilità, e dai rapporti interpersonali. La ribellione in ritardo, quando mi sto avvicinando ai trentotto anni (con tutto che meglio tardi che mai, eh...). Ho reso l'idea? Capite che razza di caos si agita dentro questo povero corpo che non sa più dove sbattere la tensione e allora la mette un po' qua e un po' là, a muzzo, 'ndo cojo cojo. Possiamo dargli torto? Direi di no.
A volte penso di aver perso la fiducia nella vita e nell'umanità ma non è davvero così, lo prova il fatto che basta un po' di gentilezza per comprarmi, e che nonostante io stia sempre brontolando se posso essere d'aiuto non mi tiro mai indietro. Penso di avere soltanto paura di soffrire ancora (alzi la mano chi non è stato ferito da qualcuno/qualche situazione e ora non si caca un po' addosso al pensiero di soffrire ancora), e di aver imparato, per proteggermi, a vivere di stereotipi e luoghi comuni. Gli stereotipi sono rassicuranti. Chiudo gli occhi e mi immagino la vita come la vorrei, le amicizie come le vorrei, e sticazzi come li vorrei. Poi mi sveglio e niente è come l'ho immaginato, e non riesco a farmene una ragione. Non sono minimamente toccata dalla concreta possibilità che le cose vadano meglio di quanto le ho immaginate perché non riesco a guardare al quadro generale, e a vedere che in effetti è sempre stato così anche in passato. 
D'accordo, ho avuto una vita complicata e spesso ho camminato sui mattoncini Lego a piedi nudi, ma alla fine ce l'ho sempre fatta. Sempre. Anche quando ero sicura che non ne sarei uscita. Sicché qualcosa di buono dev'esserci, in tutto questo, è che non lo vedo. Sì, sono la stolta che se le indichi la luna guarda il dito e non la luna, sempre ammesso che riesca a mantenere l'attenzione abbastanza a lungo da notare anche il dito.

Domani inizia ufficialmente la stagione delle feste natalizie e io non sono pronta. Vorrei smettere di fare orribili pronostici ma il materiale per gli orribili pronostici mi salta addosso che una biblica invasione di cavallette al confronto è roba da ridere. Tengo a bada il mal di testa da cervicale con completo da domatore, frusta e sgabello, masticando compresse per lo stomaco e aspettando... che l'Apocalisse mi piombi addosso come ogni anno in questo periodo.
Passerà, come tutto il resto.
Passerà come la Nostalgia per quello che sono stata e non sarò più, per le cose perse - ma che sicuramente dovevo perdere. Aspettando tempi migliori mediterò sulle sponde di fiumi di cioccolata calda, riposerò su materassi di morbido pandoro e che Dio m'assista. O almeno che mi mandi l'A-Team.
Sempre domani, con il topo andiamo a Pontebba a vedere la sfilata dei Krampus (sono emozionatissima!!!). Perché va bene la sfiga, ma una gioia ogni tanto ce l'ho anch'io. Speranze - più che aspettative - per domani: che sia caduta un po' di neve (fa tanto atmosfera), che la sfilata non sia troppo veloce, e che dalla mostra al municipio cicci fuori qualche libro interessante sui Krampus (non c'è praticamente letteratura sull'argomento e ciò mi dispiace alquanto).
Restate sintonizzati per aggiornamenti. 

domenica 4 dicembre 2016

È CHE PROPRIO NON ME NE FREGA UN CAZZO

Oggi è appena il 4 di dicembre, citare le feste sembrerebbe prematuro, ma dato che è anche l'unico momento in cui vivo una sorta di tregua con la festa che più mi abbruttisce in assoluto, scriverci un post non mi è sembrato poi così fuori tema. Allo scopo di farmi vagamente ammorbidire dall'atmosfera natalizia, stamattina ho tirato giù dal letto il marito a un orario antelucano e mi sono fatta accompagnare al Villaggio di Babbo Natale di Bussolengo, tripudio di palle e decorazioni, cibo grasso, zuccheroso e buonissimo e stanze allestite con i manichini inquietanti che mi piacciono un sacco, ma l'unica cosa che mi ha toccato un po' l'anima, alla fine di tutto, è stata il brezel gigante che ho mangiato all'uscita. Ad ogni modo, come mi è già capitato di scrivere in passato, oggi non ho ancora bestemmiato la madonna, e questo si può considerare a tutti gli effetti un accenno di spirito natalizio.
Come se il mio scarso interesse non bastasse, quel filibustiere del topo ha tagliato ieri sera il pandoro che avevo destinato alla merenda dell'8 dicembre, quando per tradizione addobbiamo l'albero e la casa con sottofondo di canzoni stucchevoli e poi ci rimpinziamo di prodotti da forno industriali. Insomma, non si mangia il pandoro prima dell'8 dicembre, dai!!!! Tra l'altro mi toccherà comprarne un altro, perché quello che è stato aperto non durerà mai fino a giovedì.

Pandori a parte, credo che un post che chiarisca i motivi, seri e non, della mia idiosincrasia verso il Natale non sia assolutamente necessario, in quanto ho aperto questo blog a novembre del 2010 e sono sicura di averne scritto almeno uno ogni anno sull'argomento. Questa sì, è una tradizione con cui rompere (e con cui persino io mi sono ormai ampiamente rotta le palle).
C'è però qualcosa che contraddistingue questo dicembre 2016 e lo differenzia dai precedenti, e su cui mi viene spontaneo spendere un paio di righe: questa cosa è l'indifferenza. Non la sento come una sensazione negativa... è quella che è: una mancanza di emozioni e di interesse nei confronti delle feste. Anche se ci scherzo e mi diverto a farlo, e forse lo farò ancora, in realtà non provo nemmeno l'idiosincrasia di cui ho scritto sopra.
È che proprio non me ne frega un cazzo. Non mi si smuove niente nell'anima, non ho voglia di fare regalini e di essere carina e gentile, posto che io sono sempre carina e gentile (vabbè... diciamo civile ed educata, via).
Quest'anno ho deciso di non preparare un milione di pensierini "anche per le conoscenze", tipo le ragazze che vedo ai corsi in palestra ma con cui non ho rapporti d'amicizia al di fuori del contesto dei corsi, oppure le commesse del negozio di animali da cui mi rifornisco di pappe per i gatti, perché "è Natale ed è bello sorprendere gli altri con un pensiero affettuoso". Ho deciso che non sarò munifica con le amiche - per cui non spendo mai soldi miei - perché se lo faccio finirà che a gennaio, archiviati albero, decorazioni, buoni sentimenti e pippe del genere, il solito milione di conti da pagare che ci attende ci farà finire il mese con l'acqua alla gola.
Messe giù così, queste sembrano delle scelte sensate. In fin dei conti, non è il pensiero che conta? Ma è comunque un ragionamento strano per me, qualcosa di inaspettato a cui ancora non mi sono abituata.

L'unica cosa che mi chiedo, seriamente, è se sono diventata una persona arida oppure se sto guardando il Natale e le persone che mi circondano con gli occhi di una risvegliata. Così su due piedi non saprei qual è il piatto della bilancia che pesa di più, non ho mai avuto tanta confusione in testa e nel cuore come in questi ultimi tempi.
Di recente, persone che credevo amiche mi hanno lanciato delle accuse davvero insensate (a proposito di stranezze, per quanto mi riguarda: ho avuto finalmente il coraggio di ribattere, di non sentirmi colpevole e di non dare immediatamente ragione alle accuse), per altre sono una specie di bidone in cui svuotare ogni giorno tutta la merda della loro vita, salvo quando spariscono per settimane e tornano al bisogno, un po' come se fossi un self-service. Non riesco più ad avere sentimenti per gente così. Quando faccio due conti sulle poche amicizie che mi sono rimaste non provo più grandi emozioni praticamente per nessuno. Così è per il Natale. Bene o male qualcosa riusciva a penetrare la mia scorza dura, almeno finché non avevo modo di trovarmi faccia a faccia con i parenti. Quest'anno ho l'impressione di vedere la festa unicamente come una manovra economica, e non ho nemmeno la voglia di essere polemica sui social.
Quello che veramente vorrei, al momento credo di non saperlo. 
Scrivere, forse. Sto continuando con la narrativa quotidiana, non più con i ritmi del NaNoWriMo ma con costanza. Con le cazzate, con la non-narrativa, idem. Soprattutto la notte, ché ultimamente non mi riesce di prendere sonno prima delle tre, a volte delle tre e mezza. Spesso, se mi addormento prima dell'una sono comunque agitata, le ore di sonno effettive sono due, le altre sono un dormiveglia neanche troppo pesante. Mi sveglio definitivamente alle quattro, magari alle cinque, troppo presto per alzarmi. Allora scrivo. Non è male, almeno non sto ad angosciarmi sul perché non riesco a dormire.
Leggere, di sicuro. Mi mancano quattro libri per vincere la Reading Challenge di quest'anno (60 libri).
E stare per conto mio. Mai come in questo periodo della vita ho avuto desiderio di stare da sola, per quanto a volte mi faccia star male l'essere da sola, il non confidarmi con nessuno sulle questioni che davvero mi toccano (dunque, non devo essere del tutto insensibile, perché c'è ancora qualcosa che mi emoziona). Anche il solo pensare che non c'è nessuno, ora, a cui vorrei confidare i miei segreti mi fa sentire sottosopra eppure, come mi capita con l'ansia quando arriva, so che sto facendo il percorso giusto per me. Nonostante la strenua resistenza che ancora oppongo ai naturali cambiamenti, resistenza che mi cagiona ottantasette mal di testa al giorno, l'infiammazione della cervicale, mal di schiena, mal di stomaco e chi più ne ha più ne metta. Adesso penso che di vecchie abitudini da smaltire ne ho tante, altrettante sono le cose da imparare, e ci vuole solo pazienza.

giovedì 1 dicembre 2016

A MALI ESTREMI

Oggi è il primo giorno dell'ultimo mese dell'anno. Cosa di per se stessa normalissima, insomma, dicembre è un mese come un altro. Non fosse che...

«Wow, mancano 24 giorni a Natale!». 

Come sono contenta,
che bella notizia...
Stando all'ultimo bollettino materno, mia nonna ha già iniziato un giretto di telefonate per discutere di Santo Stefano-Non Santo Stefano (vedere post sull'argomento). Più dettagli apprendo, più cresce la mia voglia di darmi malata e mandare tutti a fanculo.

Io non sono il tipo di persona che si spaccia per malata quando non lo è. Giuro su quello che vi pare, posso anche produrre prove fisiche dato che ho conservato i libretti delle giustificazioni di scuola: in sei anni di liceo (cinque + bonus ripetente) ho fatto qualcosa come quattro giorni di assenza. Credo che per questo meriterei una menzione nel libro dei guinnes dei primati di tutti i tempi. 
Come ci sono riuscita? Semplice: sono cresciuta con il Sergente maggiore Hartman. E con una certa dose di sfiga dato che ero la prima ad alzarmi e ad uscire di casa la mattina, c'era un solo autobus che mi portava a scuola e che passava alle 7, o prendevo quello oppure ero nella merda fino agli occhi. Come se non bastasse, mio padre lavorava in proprio e non aveva orari, poteva restare in casa per tutta la mattina o fare dei rientri imprevisti, a sorpresa, mentre mia mamma lavorava a Vicenza, faceva molte commissioni in centro e le probabilità che mi sgamasse in giro anziché in classe erano sempre altissime. Ma mai una gioia mai, è proprio il caso di dirlo. Ovviamente non mi erano concessi nemmeno strappi alla regola come, ad esempio, un giorno di assenza per preparare un compito particolarmente ostico, se non avevo la febbre a quaranta o qualcosa di rotto non mi azzardavo neanche a inumidire l'occhio nella speranza di commuovere la genitrice. Questo rigore militare perpetrato per anni si è tradotto in una salute particolarmente robusta, mi sono sempre ammalata di rado, e anche in una capacità straordinaria di prendermi degli accidenti unicamente nei fine settimana o durante le vacanze (l'ultimo, memorabile week-end di malattia ai tempi del liceo è capitato nel gennaio del 1999, quando ho trascorso sabato e domenica con la testa nel water a causa dell'influenza intestinale ma poi lunedì mattina ero presente in classe a fare il compito di fisica. Ai supereroi Marvel ci piscio in una scarpa io, tzè!).
Questa vita di stenti e privazioni, ma soprattutto privazioni (cit.), non ha avuto fine né con la maggiore età né dopo che ho trovato lavoro, ha continuato a pilotarmi e in modo del tutto indipendente dalla mia vera volontà, dal Sergente maggiore e dalla mancanza di autobus nei paesi di provincia. Avevo ormai sviluppato, in forma cronica, questa specie di Sindrome del Dovere per la quale non potevo assolutamente mancare dal lavoro se non in casi estremi (cioè la morte quasi certa), e che di fatto mi ha portata a lavorare per anni con una buona resa (migliore di tanti altri inetti fisicamente ed emotivamente sani con cui ho condiviso l'ufficio) nonostante fossi in pieno esaurimento nervoso con insonnia. E ora vi esorto a pormi la Grande Domanda, suvvia, non siate timidi. Di quanti giorni di mutua hai usufruito, Valentina, negli anni in cui hai lavorato? Zero. Che comunque, anche mi fosse venuta una broncopolmonite la mutua non mi sarebbe servita dato lo stratosferico numero di ferie non godute di cui disponevo, per forza di cose (non godere, a quanto pare, è un altro stile di vita a cui sono molto avvezza).
Di questa ridicola forma di stacanovismo non vado fiera, sarebbe come dire che sono fiera di essere sempre stata una grandissima COGLIONA, ma non posso non ammettere che essere allevate prone al sacrificio presenta degli aspetti positivi. Tuttora mi ammalo di rado (sempre nei fine settimana o quando il marito è in ferie), e sono una donna estremamente affidabile, se prendo un impegno lo mantengo. La quale cosa, tra parentesi, dovrebbe essere la normalità, ma dato che siamo tutti esseri umani soggetti agli scazzi della vita comprendo la possibilità di cambiare idea. Piuttosto, io dovrei spostare la mia attenzione su un altro piano, smettendo cioè di prendermi impegni senza riflettere, spinta dalla pulsione a comportarmi da persona civile, educata e socialmente bene inserita anche se sono una stronza asociale, perché nel 98% dei casi scopro che di quegli impegni non me ne frega un cazzo ma ormai li ho presi e devo andare fino in fondo, pena la morte tra atroci tormenti. Questo spostamento di piano, tuttavia, è più difficilmente applicabile alle situazioni familiari nel contesto feste natalizie, e non crediate che io non abbia tentato di proporre delle alternative perché l'ho fatto e me le hanno bocciate tutte. 
Quest'anno, quindi, temo che "La donna che non si dà mai per malata se non lo è" farà un'eccezione, e per il 26 dicembre avrà il cagotto. Poco nobile, ma... 


Nell'attesa, e mentre i miei anticipano catastrofi natalizie (pratica del tutto coerente con le loro contorte personalità), cercherò di tenermi fuori dalle chiacchiere e dalle previsioni per continuare a scrivere in santa pace. Che poi, di casini ne ho già abbastanza per conto mio. La battuta conclusiva di quasi tutte le telefonate con mia nonna è: «Vale, la vita è dura. La vita è dolore», e spesso io concordo con questa analisi. Ma proprio per questo motivo, vorrei dire a nonna, ti pare il caso di complicarla ancora di più?