lunedì 9 gennaio 2012

WHO'S THAT PERSY?

Lo so non sto aggiornando il blog da giorni ma mi sto godendo un sacco di riposo, dopo un lungo e tormentato periodo festivo e tanti dolori di schiena/spalla destra (finalmente sto superando 'sta contrattura muscolare che mi sembrava praticamente eterna...). Credo di aver ficcato ogni genere di problema conscio e inconscio che avevo proprio lì tra le scapole, dentro il trapezio, e poi sotto l'ascella destra, la spalla destra, il gomito destro, e via di seguito. Un braccio fuori uso sei giorni su sette. E non a caso quei quattro capelli bianchi che ho li ho TUTTI sul lato destro della testa.
Ho un problema con la mia parte destra?!!
No, la verità è che avevo un problema con me stessa nella mia totalità e non riuscivo ad accettare che quella voce che sentivo sempre minacciarmi, e a cui così spesso davo ascolto, non era altro che la voce di mia madre potenziata e interiorizzata al punto da farne una parte di me.
Ma come insegnano tanti guru il dolore non arriva mai senza motivo, e ha sempre qualcosa da insegnarci su noi stessi.
Alla fine ho mantenuto la parola che mi ero data e il primo giorno dell'anno l'ho trascorso a scrivere una lunga e dolorosa lettera per mia mamma, la mia ferita eternamente aperta. Per un attimo dopo avergliela portata, e dopo aver sentito la sua rabbiosa reazione ho avuto paura di essermi comportata di nuovo da vittima, di aver cercato di scaricare su di lei la colpa dei miei turbamenti ma poi ci ho ripensato a lungo, e mi sono detta che se davvero avessi voluto fare la vittima avrei continuato a lamentarmi come ho fatto fino al primo gennaio senza porre rimedio alla situazione, e non sarei mai arrivata in fondo.
Ma io ci sono arrivata, alla fine, e adesso non mi aspetto delle scuse.
La cosa terribile, ma in fondo meravigliosa è che da mia madre non voglio più niente, e questa sensazione che non ho mai provato prima in vita mia mi fa sentire leggera, mi fa sentire libera.
Forse un giorno le cose cambieranno e sentirò la sua mancanza, ma per ora mi stupisco quotidianamente e con grande piacere di non sentire il telefono squillare. Quando guardo il cellulare e penso a tutta questa storia mi pizzica il trapezio e mi si indolenzisce subito il braccio, e credo che sia l'eco della voce di Persefone che cerca ancora di ammonirmi, di sgridarmi perché certe cose alla mamma non si devono fare, e non si devono dire ma passerà anche questo, col tempo.
Non sono pentita per quello che ho fatto, e non voglio nemmeno che mia madre cambi atteggiamento per me, se mai dovesse cambiare qualcosa nella sua vita sarà una scelta che dovrà fare per se stessa. Tutto ciò che io volevo da lei, e che ho ottenuto, era di non sentirmi più circondata dalla sua negatività e dal suo giudizio.
Le ho soltanto detto e mostrato che persona sono diventata adesso, così diversa da quella che ero e che taceva per non darle un dispiacere.
Lo scrivo senza nessuna vena melodrammatica né autocommiserativa ma come un puro e semplice dato di fatto: per tutti loro, per i nonni materni, la mamma, mio padre e il mio patrigno io non sono mai stata abbastanza, c'era sempre qualcosa di sbagliato in me e oltre a credere che avessero ragione pensavo che anche tutto il resto del mondo fosse d'accordo con quel giudizio, ma quando mi sono accorta che ci sono persone che mi amano così come sono, e quando in fondo anch'io mi piaccio con tutti gli annessi e i connessi, che bisogno ho di credere a quelle voci?
Comunque spero che questo sia l'ultimo post che scriverò sul tema famiglia, perlomeno in questi termini.
Spero piuttosto che sia il primo di una lunga serie di racconti sulla mia libertà, e la mia nuova vita.

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