martedì 31 luglio 2012

SINISTRI BAGLIORI

Anziché smanettare su LCDRA in preparazione al Camp NaNoWriMo che inizia tra un po' sono andata a rispolverare un vecchio racconto, non so nemmeno io perché.
La mia mente sforna una decina di possibili trame/scene al giorno, ormai ho anche smesso di prendere sempre appunti perché tanto poi si accumulano e finiscono per perdersi e per non servirmi a una mazza, al contrario del tempo che essendo sempre contato invece mi serve tutto, e così mi scordo costantemente di tutte le cartelle compilate con tanto amore a pc e ordinate ed etichettate nell'archivio cartaceo, piene di storie iniziate e mai finite (ogni occasione è buona per far comparire una cartellina colorata con etichetta, data, e tanti foglietti volanti dentro) (non ho MAI superato questa fase della scuola elementare. Potete darmi cancelleria e tenermi buona per una giornata intera. Datemi delle cartelline e della Coccoina da sniffare e sarò la vostra schiava). Me ne dimentico finché non arriva la vigilia di una gara di scrittura e io non ho di meglio da fare che guardarle e soffiare via le ragnatele.
In questo specifico caso ero convinta di leggere una schifezza (il racconto incompiuto è datato marzo 2009), invece ho trovato trenta pagine nient'affatto male, con dei personaggi carini e coccolosi e solo un rimorchio di puntini di sospensione, che da sempre sono il mio punto debole (puntini di sospensione COME SE PIOVESSE). E niente, ci volevo scrivere un post, e quasi quasi volevo anche pensare a un finale per quella storia che ad un certo punto mi è scappata di mano, e che per questo ho lasciato andare alla deriva. Temevo, come spesso accade, che se avessi continuato a scrivere senza una meta precisa i personaggi si sarebbero impadroniti del mondo in cui li avevo messi, e di conseguenza avrei dovuto inseguirli per anni in attesa che smettessero di sminchiare e concludessero qualcosa, ma poi ho pensato, perché ho così tanta paura dei progetti a lungo termine? Guardare i personaggi che sminchiano non è forse il mio mestiere?
Adesso credo di aver capito qual è il problema e di potermi dare una risposta.
Il problema è che un giorno mi sono messa in testa che per fare bene quello che volevo fare (la scrittrice) dovevo per forza diventare seria, lavorare duro e fare fatica, perché solo la fatica e il lavoro duro portano a qualche risultato, e così mi sono dimenticata che, al contrario, la prima e unica regola valida per far bene questo mestiere (e qualunque mestiere al mondo) è divertirsi. Perciò ho cominciato ad avere paura di quello che non potevo tenere sotto controllo. Ho lasciato che Persefone imbrigliasse la mia fantasia, che ingessasse la mia spontaneità e si prendesse tutto quello che mi rendeva felice e che mi appagava e me lo nascondesse perché avevo paura che se non gliel'avessi concesso di mia spontanea volontà lei si sarebbe comunque arrangiata, facendomela poi pagare doppiamente. Sì, sembra un ragionamento così schifosamente contorto lo so, ma so anche che l'essere schifosamente contorti in fondo non è una caratteristica solo mia.
Allora prima, alla fine della lettura, mi sono chiesta se forse non è arrivato il momento di mandare un po' (a fare in culo) in ferie Persefone, di prendere quei vecchi racconti senza finale e provare a vedere come sono maturati nel corso degli anni. Così senza troppo impegno, quando ho cinque minuti nell'arco della giornata, cinque minuti che non so proprio come impiegare (e che non impiego facendo sogni erotici che hanno per protagonisti me e Christopher Wolstenholme). 
Credo che tutti quei poveri progetti in fondo se lo meritino, per avermi aspettata in silenzio così tanto a lungo...


(La casa che mi ispirò questo racconto,
e che adesso con mio sommo dispiacere
stanno restaurando...*sigh*)
SINISTRI BAGLIORI
Nel pomeriggio, il tempo aveva cambiato umore e si mostrava indeciso tra il lasciar spazio alle nuvole o al sole.
Ally e Frances, dopo aver mangiato, si prepararono con cura per il loro programma pomeridiano che consisteva nel non far nulla e ciondolare tra la casa e il giardino fino a ora di cena. 
Ally naturalmente mostrò subito di preferire il giardino, dove sapeva che non avrebbe incontrato Jake, e Frankie, per quanto fosse contraria alla sua ostinazione a non volersi presentare, l'accontentò e le tenne compagnia all'aperto. Dopo aver vagato per un'oretta in una piccola rimessa dove lo zio Rupert teneva la sua vecchia auto e altre cianfrusaglie se ne rimasero sul retro della casa, sedute su una panchina a guardare semplicemente il cielo. Fu allora, durante uno dei pochi momenti che trascorsero a parlare, che Ally menzionò la faccenda del flash visto alcune ore prima. Fece appena in tempo a finire la spiegazione che un leggero bagliore intermittente colpì il retro della casa facendola sobbalzare.
Frankie, che distesa supina aveva appoggiato la testa sul suo grembo, a momenti cadde per terra di faccia.
«L'hai visto? L'hai visto, vero?»

«Sì, l'ho visto...ma non c'era bisogno di scattare in piedi in quel modo, Ally! A momenti mi spacco il naso.»

«Oh dai, lascia perdere il naso e le buone maniere, dobbiamo scoprire che cos'è quella luce.»
Detto ciò, Ally prese a girare su se stessa scrutando nelle immediate vicinanze, che non sembravano avere nulla da offrire più del normale spettacolo di un quartiere residenziale, alla ricerca di risposte. Frankie la raggiunse e iniziò anche lei a guardarsi intorno.
«Tu che cosa pensi che sia quella luce?»

«Non ne ho la minima idea.»

«Qualcosa di soprannaturale?»
Doveva essere stata la visita alla casa di quella mattina a convincere Frankie che lei avesse qualche speciale feeling col soprannaturale.
«Bah, non credo...e poi sei tu la strega, no? Dovrei essere io a farti queste domande.»
«Io sarò pure una strega ma sei tu quella con l'occhio fino...non dimentichiamo la tua performance in camera del vecchio» le sussurrò Frankie, mezzo divertita «quella macchiolina microscopica io non l'avrei vista neanche se avessi avuto due occhi in più.»

«È stato un caso...e comunque non era poi così microscopica.»

«Io invece penso che tu abbia qualche strano potere.»
«Fantastico, questa proprio mi mancava...»
Ridendo, Frankie le diede una spintarella.
«Scherzo scema!»
«Puoi essere seria per un attimo? Insomma, queste lucine intermittenti mi perseguitano da stamattina, voglio scoprire che cosa sono e mi serve il tuo aiuto.»

«Va bene, sarò seria, promesso.»

Un altro breve bagliore le colpì e sembrò rimbalzare contro la casa ma fu troppo rapido perché potessero individuarne la provenienza.
Stanche di girare a vuoto, anche se con una punta di delusione, le ragazze giunsero alla conclusione che forse i bagliori erano provocati da qualche finestra, che aperta e poi chiusa aveva fatto rimbalzare i raggi di sole.
«Non ne sono per niente convinta» brontolò Ally «ma è l'unica spiegazione che ha senso.»
«Dai, non te la prendere, in fin dei conti questa casa di cose strane ne ha già abbastanza, non ti pare?»
«Anche questo è vero.»
Ally riprese posto sulla panchina, e Frankie appoggiò di nuovo la testa sul suo grembo.
Scese tra loro un altro lungo silenzio, necessario e privo di imbarazzo, durante il quale ognuna ebbe modo di organizzare i propri pensieri o forse, di indirizzarli lontano a dove essi si ostinavano ad andare.
Frankie aveva una sua precisa teoria sulle luci, che si divertì a smontare e rimontare svariate volte prima di decidersi ad esporla ad Ally che dal canto suo, trovata una soluzione plausibile che aveva svelato l'arcano, lottava per allontanare la mente da Jake e dai suoi grandi occhi verdi. Era la prima volta in vita sua che sentiva lo stomaco gorgogliare per uno stimolo diverso da quello della fame, da una colica e da un'indigestione, e quel fatto la sorprendeva e la spiazzava al punto che temeva si potesse vedere dall'esterno, come se avesse avuto una scritta luminosa ad intermittenza sopra la testa.
MI PIACE JAKE. MI PIACE JAKE. MI PIACE JAKE.

«Hey, sai che cosa dovremmo fare?»

Quando la voce di Frankie ruppe il mantra, Ally ne fu così felice che pensò che si sarebbe messa a ridere.
«Cosa?»

«Dovremmo guardare dove puntano le luci.»

«E perché?»
Frankie si sollevò a sedere.
«Hai mai sentito quelle storie che parlano di apparizioni di luci o di colpi battuti contro le porte...»

«I poltergeist?»

«Sì, tipo quella roba lì, quei segnali che rimandano le persone a qualche scheletro murato in casa, la cui anima vaga ancora nel mondo dei vivi per attirare su di sé l'attenzione e far seppellire le sue povere spoglie mortali in terra consacrata.»
Ally scoppiò a ridere, e Frankie la seguì.
«Ma ti senti quando parli? Da dove le hai tirate fuori tutte queste cazzate?»
«Dai miei libri preferiti...da dove sennò?»
Per un istante, Ally osservò con attenzione le pareti scrostate della vecchia casa, forse soppesando le parole di Frankie, o forse ricordando di tutte le trame intessute su quella falsariga.

«Sai che cosa ti dico io? Che se continuiamo così, a parlare di fantasmi e di scheletri, stanotte non dormiremo.»

O meglio, io non dormirò, si disse Ally.
Le era bastato formulare un breve pensiero, sfiorarlo appena con un soffio e quello si era già materializzato nella sua veglia, mentre la testa, che perlomeno si era liberata dal pensiero fisso di Jake, predisponeva i suoi operai per sfornare domande alle quali poi si sarebbe sentita in dovere di dare una risposta.
Il fantasma di chi?
Nascosto dove?
Quando?
E perché?
È Gabrielle, murata viva in qualche stanza? Il suo corpo è ancora intatto? E come fa a mandare le luci oltre le pareti? E perché mandarle proprio a lei e Frankie?
«Ally...sei ancora nel mondo reale?»
«Certo.»

«Hai di nuovo quell'espressione in faccia.»

«Quale espressione?»

«L'espressione di una che vede qualcosa che gli altri non vedono.»

«Ma ti sei proprio fissata con quella storia, eh! Stavo solo valutando la tua teoria...che non è niente male. Magari è vero, dobbiamo solo trovare il modo di abbattere le pareti della casa senza farci scoprire da Rupert. Dai, andiamo a prendere il martello!»
«Non sei divertente, lo sai? Non mi piace quando mi prendi in giro.»
Ally sorrise, costringendo la cugina ad ammorbidirsi subito.
Sapevano entrambe che il silenzio in cui si erano ritrovate così in sintonia aveva fatto da collante alla loro amicizia.

«Sai quando ti ho detto, qualche ora fa, che a volte ho l'impressione di dormire anche da sveglia? È questo che intendo...non è che posso vedere prima le cose che devono succedere, o che quello che provo sia poi reale e l'hai visto anche tu in quella camera stamattina. Le mie sono solo fantasie...fantasie che prendono corpo davanti ai miei occhi, e che sono così vive da sembrare reali.»
Frankie prese un lungo respiro, si distese nuovamente supina e lasciò che gli occhi vagassero per il cielo spruzzato di nuvole.
«Questo come ti fa sentire?»
«A volte non male, ma è raro. Più spesso è doloroso, perché quello che vedo...le mie fantasie insomma, di solito sono brutte, e la notte tornano a tormentarmi.»
«Io ci vivo, nei miei tormenti.»
Frankie sospirò ancora e il suo sguardo si incupì mentre il sole veniva improvvisamente inghiottito dal grigio di una nuvola.
«Di giorno e di notte, il mio incubo è lì...sempre lo stesso, solo che non è un vero e proprio incubo, non è il prodotto di una mente stressata come dice quella vacca di mia madre, ma è una cosa che ho vissuto veramente. È tutto vero, verissimo!»
D'istinto, Ally posò una mano sul viso della cugina, sul suo fresco pallore appena tinto di rosa.
Voleva dirle che le credeva pur senza sapere nulla, che sapeva che lei non le avrebbe mai mentito ma le parole non vollero uscire. Se Frankie avesse parlato, poi sarebbe toccato a lei.
«Sono stanca di avere paura, Ally...sono davvero stanca.»
«Lo so. Lo sono anch'io.»
Frankie si rialzò di scatto e si mise seduta. Con una carezza furtiva, il vento le scompigliò i capelli.
«Vorresti provare a fare una cosa con me?»
Lo stomaco di Ally gorgogliò, di nuovo per l'emozione.

«Che cosa?»

«Smettere di prendere le medicine.»
«Stai scherzando, vero?»
«No.»
Ally la fissò a lungo negli occhi in attesa di poter approfittare di un attimo di cedimento. Ma Frankie non cedette, e quelle schegge di metallo scintillante non mandarono nemmeno un fremito.
«Ma potrebbe essere...pericoloso.»
La cugina si sporse verso di lei, la voce ridotta ad un sussurro.

«Non mi hai detto, poco fa, che vivi in una specie di mondo parallelo? Che le tue fantasie ti tormentano giorno e notte?»

«Sì ma...»
«Le pillole di fanno forse sentire o dormire meglio?»
Con quella domanda sapeva benissimo di sfondare una porta aperta, perché aveva assistito in prima persona al terribile risveglio di Ally di quella stessa mattina.
«No.»
«E non hai mai pensato che forse sono quelle che ti tengono in quello stato penoso?»
«No, non ci ho mai pensato...ma lo escludo. Non posso credere che i miei genitori mi permettano di prendere qualcosa che mi fa male.»
Non aveva neanche finito la frase che le era venuta voglia di andarsi a sciacquare la bocca con la candeggina. Non era affatto sicura che sua madre le avrebbe permesso di non stare male. Se si fosse sentita meglio magari avrebbe preteso di arrangiarsi, di allontanarsi da lei...no, non poteva farlo. Doveva espiare la sua colpa. Se non avesse fatto quella cosa terribile un anno prima, forse avrebbe potuto pretendere di più. Non ci aveva mai pensato, ma Frankie le aveva appena fatto notare che aveva capito una cosa fondamentale di lei: che era un'autolesionista.
«Davvero?»
Gli occhi di Frankie dicevano che Linda e Gail erano sorelle, dicevano che i trascorsi di quella famiglia non erano maligne invenzioni ma fatti supportati da prove concrete.
È una famiglia di svitati, Ally! Viviamo in mezzo ai folli ma noi non lo siamo! Sono quelle donne che ci vogliono rendere come loro, come se dovessimo portare avanti la tradizione.
«Senti, Frankie, dico davvero...potrebbe essere pericoloso.»
«D'accordo, ascolta, facciamo così: proviamo solo per una volta, ok? Dai, vienimi incontro...solo per una notte. Se poi succede il finimondo, giuro che non ti chiederò mai più di farlo.»
«Lo giuri davvero?»
«Parola d'onore!»
Una notte, una notte sola.
Si può fare, pensò Ally, e nel momento stesso in cui accettò, ancor prima di dirlo a Frankie, sentì un brivido di gioia vitale percorrerle la schiena.

«E se poi non riusciamo a dormire?»

«Oh, non aver paura» la rassicurò l'altra, al settimo cielo per la sua pensata e per aver convinto sua cugina ad accettare la sfida «se non riusciamo a dormire ho un sacco di storie da raccontarti per tirar mattina.»

Non si videro altri lampi fino al tardo pomeriggio, né dal cielo né da altrove, ma quando il vento smise di essere carezzevole e si fece più audace, le ragazze vennero richiamate in casa dalle rispettive madri per prepararsi alla cena.

domenica 29 luglio 2012

FARE PER SÉ

Dopo averci dormito su una notte ho deciso che prenderò parte al Camp NaNoWriMo di agosto con la seconda parte di LCDRA (o almeno con quel che riuscirò a scrivere in un mese di questa parte). 
Se vincerò fantastico, se non vincerò mi vorrò bene ugualmente per averci provato.
La storia è la stessa da più di un anno, ma malgrado questo ogni volta che la penso senza vedere lo sforzo di accumulare le pagine mi fa provare ancora lo sfarfallio nello stomaco dei primi giorni dopo la sua nascita e allora, mi son detta, perché sottrarle tempo ed energie per occuparmi di altro?
È difficile da spiegare in poche parole, non si tratta di finire questo progetto per accontentare e compiacere Persefone o chiunque altro ma perché sento di doverlo fare, a dispetto della stanchezza, anche nei giorni in cui non riesco a produrre più di cinquecento parole. Questo è un progetto che è entrato nel mio essere, che se non porto a termine adesso mi causerà in futuro un'immenso rimorso.  Lo faccio per me questa volta, per me soltanto.

IL POST CHE MI SERVE

Ho sonno ma non vado a dormire. Non ancora.
Prima mi serve un post veloce ma che sia un post, perché questa appena trascorsa è stata una di quelle serate in cui avevo bisogno di scrivere cagate, niente di serio, ma comunque dovevo usare la tastiera e non l'ho ancora usata abbastanza. Poi mi prudono le falangi, ecco.
FUCK THIS SHIT!
Un'ora fa mentre ero in bagno (va specificato che ero in bagno perché è nello spazio tra il cesso e la doccia dove prendo le decisioni più importanti e dove, spesso mentre faccio la cacca ho delle vere e proprie epifanie) ho deciso che non sono più sicura di voler iscrivere «L'attesa di Sofia» al Camp NaNoWriMo di agosto perché a dispetto dell'entusiasmo con cui ho radunato testi e appunti ancora mesi fa in fase preparatoria, non sento più la spinta giusta per avviare la stesura del romanzo. Non voglio iniziare un lavoro e poi fermarmi a metà strada perché sono stanca e non mi raccapezzo più. Inoltre vorrei dire, ma può una persona normale scrivere due romanzi E occuparsi dell'editing di un libro di psicologia contemporaneamente?
Credo proprio di no, o almeno non senza fare un lavoro di merda.
E se non può farlo una persona normale figuriamoci se lo posso fare io, che ci sono giorni in cui a momenti non mi ricordo neanche dove sto di casa. No, quello che dovrei fare in questo momento della mia vita è mandare tutto affettuosamente a fanculo, leggere libri e dare aria al cervello, non continuare a riempirmi le giornate di incombenze che non hanno senso.
Per chi le faccio poi, tutte queste gare? A chi devo dimostrare di essere Wonder Woman?!

mercoledì 18 luglio 2012

LORD, PLEASE: STOP TESTING ME!

Non potete immaginare che impressione mi abbia fatto riaprire questo blog dopo tanto tempo e leggere la data dell'ultimo post, il 29 giugno.
Ero un po' in apprensione come lo sono sempre prima di una partenza ed emotivamente scarica, dopo sei mesi di fuoco.
Ripensavo ancora alla "rottura" se così posso definirla, con mia madre, alla reazione alle mie parole e al fatto che niente era andato come mi ero immaginata nonostante avessi usato ogni cura affinché non si sentisse in nessun modo ferita da ciò che pensavo. Non intendevo dirle che la odiavo o che doveva sentirsi una madre orrenda, volevo soltanto che capisse quello che provavo nei confronti di certi suoi atteggiamenti verso di me. Mi dicevo che tra persone adulte ci saremmo capite, ma inizio a convincermi che questa cosa che gli adulti ragionano sia solo una stronzata. In ogni caso staccarmi in quel modo da lei, anche se ormai non sopportavo più il peso dei sentimenti contrastanti che avevo nel cuore non è stato facile. È molto più facile, invece, affermare a distanza di tempo che certi dolori sono necessari per maturare. Sarà pure così, ma finché ci si ritrova a viverli e doverli sopportare fanno un male che in certi momenti schiaccia peggio che un masso in mezzo alla schiena.
Poco dopo è morto il nonno.
Pazienza, si diceva, aveva la sua età, capiamo la sua scelta di uccidersi dato che aveva un brutto male che lo avrebbe fatto soffrire a lungo, ma questo non ha reso il dolore della perdita meno intenso. L'avevo visto da poco, mi sembrava che stesse bene, non mi aveva detto niente del suo male e poi all'improvviso non c'era più ma io c'ero, a disagio in mezzo a tutti quei cugini e parenti che non vedo mai, con mio "padre" ubriaco e impazzito che dava pugni contro il muro e mi diceva «Ti voglio bene, anche se mi hai fatto dannare» e mia madre che mi sgridava al telefono per essere stata sempre poco presente coi nonni, perché «Se fossi stata più presente avresti saputo.».
Comunque vada, qualsiasi cosa accada, non dimentichiamoci mai che io sbaglio.
E poi?
Sembrava che un po' alla volta dovessi risalire, del resto io non risalgo sempre?
Pensavo almeno ho ritrovato la mia cara vecchia amica del cuore, che era più di una consolazione, e invece niente è andato come immaginavo e come speravo che andasse. Di nuovo troppe aspettative? Forse, o forse ero la solita ipersensibile che a un certo punto non sapeva più dove sbattere la testa ma che cosa cambia, quando poi stai male?
Niente, stai male e basta, e i come e i perché non hanno nessun valore.
Mi dicevo supererò anche questa, io supero sempre tutto e poi in fondo non è una cosa grave, ma di lì a poco diagnosticano a mio "padre" (virgolette d'obbligo in caso di padre naturale) un tumore all'intestino e quando lo vedo su quel letto di ospedale, irriconoscibile, mi sembra che non ci sia più niente in questo fottuto mondo che abbia un minimo di senso. Mi muore un po' il cuore, vorrei aiutarlo perché è come se guardassi un estraneo per cui provo una pena immensa ma la forza contraria dentro di me mi fa impazzire, mi urla ma come, dopo tutto quello che ha fatto e che non ha fatto per te ti impietosisci e lo vai a trovare? E gli scrivi? E lo baci e lo consoli?
Fino a pochi mesi prima ero la figlia di nessuno, messa a confronto con quel suo figlio prediletto di cui era tanto orgoglioso, ma c'ero io ad abbracciarlo e dirgli che tutto sarebbe andato bene quando è morto il nonno, e c'ero io vicino al suo letto d'ospedale di domenica, nel giorno di festa in cui si dovrebbe avere accanto la famiglia!
Ma al di là di tutto, che cosa fa la Vale quando viene sommersa dalla marea?
Soccombe?
No, nuota.
Nuota e risale in superficie e respira giusto un attimo prima di perdere i sensi e morire annegata.
Pensavo posso farcela, ce la farò!
Arriva l'estate, sono tanto stanca ma penso andiamo in vacanza tutti insieme, sarà stupendo! e mi tengo su con il pensiero del mare, delle passeggiate ma soprattutto della famiglia e del divertimento.
Arriva venerdì 29 giugno e sono un po' spenta, un po' in apprensione per i miei gatti che dovranno andare in pensione il giorno dopo ma so già che una volta partita la tristezza sparirà.
Vado a letto piena di sonno e alle 23.45 spengo la luce.
Intorno a mezzanotte e mezza mio marito mi sveglia di colpo e mi dice che pare che suo padre sia morto.
«Credo che mio papà sia morto.».
E lo è.
All'improvviso non lo so che cosa ci faccio giù in giardino in pigiama, coi capelli per aria. Mi guardo intorno e c'è gente che piange e dico forse è solo un sogno molto vivido, adesso mi sveglio e sono nel mio letto e va tutto bene.
E invece trascorriamo tre giorni con la salma in casa, con una temperatura media di 37 °C.
Il medico legale che deve dare il nulla osta per l'apposizione del coperchio frigorifero se la prende comoda (quella troia bastarda e maledetta) così il cadavere si gonfia, spurga sangue dal naso e la bara va chiusa in anticipo, prima del funerale. Ogni tanto mentre sto facendo una cosa qualsiasi mi sembra di risentire l'odore dolciastro del morto e dei fiori dentro le narici. Ma soprattutto, mi aspetto che Piero spunti da dietro l'angolo da un momento all'altro, che guardando fuori dalla finestra la mattina lui sia là ad annaffiare i fiori, che si parta per quella vacanza che non faremo mai più insieme nella quale gli volevo rompere le scatole con le mie storie sull'alimentazione sana e gli integratori a base di alghe.
Certi giorni non sento niente. Vado in giro e mi muovo per inerzia, mi sembra che sia il vento a spostarmi da una parte all'altra del mondo come se io non avessi un motivo per farlo e questi sono i giorni peggiori. In fondo la paura mi porta a reagire, mette in moto la mia mente con le sue domande seppur angoscianti, ma l'assenza di emozioni, di movimento nella mente e nel cuore, il "non provare niente" ha più di ogni altra cosa il sapore di una resa, di una sconfitta.
A volte non provo più niente per nessuno e non so che cosa devo fare, se devo lasciarmi andare come ho fatto quella sera di aprile che mi sono stesa per terra come l'uomo vitruviano e ho detto Dio, io passo la mano, tu fai un po' quel cazzo che ti pare.