giovedì 28 maggio 2015

BEING NORMAL IS BORING

Roger, il giorno che l'ho comprato
... amore de mamma ♥
Sto vivendo da due anni buoni con una maschera da clown appesa al termosifone di cucina, vicino alla mia postazione di lavoro. L'ho chiamata Roger, la maschera, e dopo tanto tempo trascorso insieme mi sono abituata a parlargli, a confidargli dei segreti e a interpellarlo regolarmente se ho dei dubbi.
Oggi ho dovuto toglierlo dal termosifone e riporlo in un armadio perché ho molto a cuore l'impianto neurologico della Ele, che è coulrofobica ai livelli e passa il fine settimana da me, ma le abitudini si sa che sono dure a morire.
Poco fa ridevo di un video che stavo guardando e mi sono voltata per commentarlo con Roger come faccio sempre, ma lui non era lì al suo posto e non vedendolo per un attimo ci sono rimasta veramente male.
Ora mi chiedo, a che livello di pazzia sono arrivata considerando tutto questo?

Comunque porca puttana, domani pomeriggio arriva la Ele.
Sono MESI che parliamo di questo lungo fine settimana e niente, c'ho l'ansia buona, cioè, stanotte non so se riesco a dormire.

lunedì 25 maggio 2015

TAENIA SOLIUM FOREVER

Ho davvero bisogno di sospendere i giudizi, su tutto e su tutti, perché di sicuro sono questi giudizi a farmi salire il disagio, soprattutto i giudizi dettati dalla rabbia, più ancora che quelli dettati dalla paura della non accettazione.
In fondo non è cambiato niente rispetto a una volta, adesso c'è solo un po' più di social ma aperitivi-disco-yeah!!-ragazze tiratissime-locali fighi-tunztunz-foto ricordo con bocca a culo di pollo c'erano anche quando avevo diciannove anni (forse i selfie no, non c'erano i cellulari e nessuno girava con la macchina fotografica nella borsa), e come allora continuano a non piacermi. Mi piace uscire in compagnia una volta ogni tanto, anche una volta al mese, mangiare una pizza e fare quattro salti in qualche locale, il punto è che con la maggior parte delle persone se questo rito non lo ripeti con una certa frequenza, meglio se settimanale, se non ti scambi millesettecento messaggi al giorno con aggiornamento in diretta su quello che stai facendo o che devi fare è inutile, sei fuori dal giro, e io sento che in qualche modo vorrei stare nel giro (o forse penso ancora che sia sbagliato non far parte del giro) ma nello stesso tempo non voglio scendere a compromessi per starci.

Complicata io? Ma non diciamo cazzate, per cortesia! 

Quando ragiono in questo modo sono una quattordicenne, la mia emotività fa un salto indietro nel tempo e mi riporta alla fase adolescenziale in cui volevo essere accettata, avevo il terrore che non succedesse e quindi facevo di tutto, anche quello che non mi piaceva, purché accadesse, è che a quattordici anni è consentito reagire così, fa parte della crescita, ma a trentasei? Ne vogliamo parlare?

Parliamone.

Essere una quattordicenne intrappolata nel corpo di una trentaseienne, secondo voi, quanto attrito può creare?
Non mi piace questo attrito. Mi piace essere emotivamente quattordicenne quando mi smutando virtualmente e perdo la testa per qualche attore/gruppo/cantante, e spero di continuare ad essere una fangirl per tutto il resto della mia vita o almeno finché non sopraggiungerà la menopausa (debbo forse ricordare a tutti che E. L. James, autrice della celeberrima trilogia "Gni gni gni... Cinquanta sfumature de sto cazzo!" è una cinquantenne che ha avuto delle fantasie erotiche sui protagonisti di Twilight, saga per adolescenti, e adesso è famosa in tutto il mondo e ci ha guadagnato una barca di soldi? Ecco, appunto, statevene zitti), ma non mi piace il giudizio che do a me stessa per questo né quello che do agli altri che si divertono agli aperitivi, in disco e a farsi selfie con la bocca a culo di pollo. 
Non mi piace essere una quattordicenne quando mi causa problemi di accettazione. Gli altri sono quel che sono, devo farmene una ragione.
Questo, e accettare che non farò mai parte di un "giro", qualunque sia, perché alla fine amo tante persone ma resto fondamentalmente un verme solitario, è materia per la trentaseienne che devo in qualche modo ritrovare.

sabato 23 maggio 2015

IL PREZZO DELLA NATURA CAPRICCIOSA

Oggi è uno di quei giorni in cui mi rendo conto che se non ci fosse la scrittura nella mia vita, io non esisterei. Non è per dire che sono una scrittrice, buona o cattiva, di talento o meno, ma soltanto che senza lo stimolo a scrivere non saprei che farmene della mia esistenza. Sia chiaro, è un'affermazione priva di esagerazioni e melodrammi. È un fatto.
Sono fissata sull'avere uno scopo nella vita, ho questa domanda piantata nel mezzo del cervello che gira in continuamente e non mi lascia mai in pace... "Qual è lo scopo della mia vita?"
Ho sempre odiato le grandi domande. Quando ho cominciato a farmele ero troppo piccola per capirne il senso ma abbastanza grande e intelligente da sentirne il peso, e mi facevano una strizza tale che ogni volta che si ripresentavano io correvo via urlando e tappandomi le orecchie per non sentirle. Poi, quando l'urgenza di rispondere era passata, le mettevo da parte e pensavo che avrei trovato le risposte "più avanti", in un futuro in cui sarei stata più capace di gestirle, ma il punto è che adesso che quel futuro è diventato il presente e sono finalmente cresciuta, le domandone continuano a farmi cacare in mano dalla paura. Mi mettono di fronte a un bivio: due direzioni, due cartelli. Uno dice "SCRIVI"e l'altro "FATTI UNA VITA NORMALE", ma in entrambi mancano le indicazioni, gli avvertimenti e i suggerimenti più importanti, perché il primo non mi dice che se decido di scrivere decido anche di infilarmi sulla strada verso un successo che potrebbe non arrivare mai, e che oltretutto mi porterà verso una certa asocialità, la probabile derisione, il giudizio e chissà cos'altro, e poi il secondo cartello non specifica che la pace "sociale" e l'approvazione mi costeranno, quasi sicuramente, una valanga di rimpianti futuri per non aver nemmeno provato a farmi ridere in faccia, a farmi rifiutare tonnellate di manoscritti e a farmi sbattere un tot di porte sul naso.
Una via di mezzo, dite?
Chissà, forse c'è, e forse la risposta sta proprio lì, ma ci credete se vi dico che io, con le vie di mezzo e i compromessi proprio non ci vado d'accordo?
A questo punto credo che il tormento sia il giusto prezzo da pagare per una natura capricciosa.

lunedì 18 maggio 2015

MALEDETTA PRIMAVERA


Pare proprio che siano tornate in auge le nottatacce "di una volta", quelle che trascorrevo sveglia a scrivere o a mettere in cantiere progetti e a prendere appunti.
Non so se è colpa del caldo improvviso o se più semplicemente è un periodo in cui ho bisogno di dare i numeri, comunque è un fatto che in questi giorni tra la mezzanotte e mezza e le sei di mattina (che sarebbe il momento migliore per il riposo e la rigenerazione) io praticamente non dormo, e allora ho deciso che tanto vale stare davanti al pc, perché di alzarmi cento volte per andare al cesso, fare una passeggiata in corridoio, bere un bicchier d'acqua, fare due grattini al gatto e sperare che mi venga sonno ne ho un po' (tanto) piene le palle.
Non sta succedendo praticamente una leppa nella mia vita virtuale, i social mi annoiano fuori di misura e non li uso quasi più, e i fandom che mi interessano su EFP si possono dire defunti ormai da mesi. Ho finito da poco di ripostare "La città delle rondini albine" (che oh, se lo son cagato giusto in due) e non avendo altro di pronto al momento anche il mio profilo è andato in standby, e allora che faccio?
Diapositiva della Vale
in sessione di scrittura notturna
Riscrivo e finisco quella vecchia storia che a momenti mi prende bene e a momenti non mi prende per niente, ma tutto sommato come esercizio quotidiano può andare, finché riesco a scriverla senza complicare le cose e cercare di convincere i personaggi a fare quello che voglio io (tanto non va MAI a finire così, il massimo che riesco ad ottenere con la coercizione è un mare di fuffa che poi mi tocca tagliare e buttare in fase di revisione).
Cerco di non pensare a tutto il tempo che mi ci è voluto per tornare ad interessarmi alle storie nella mia testa, quanto ci è voluto per ricominciare a scrivere senza provare una pressione a volte quasi fisica, come se stessi tra due pareti di cemento che si stringevano sempre di più. Cerco di non pensarci perché se ci penso ancora mi viene il magone. Rileggo vecchi appunti e mi sembrano scritti da un'altra persona in un'altra vita e mi accorgo che mi sto chiedendo davvero è successo tutto quello che è successo? 
Sembra una fase di distacco, non dettata dalla paura né dall'urgenza di dimenticare ma una fase tranquilla, in cui sto seduta a riguardare il passato recente e non mi sembra il mio, come se non credessi che io l'ho vissuto e alla fine ci sono passata sopra.
Ma bando alle serietà, a quell'essere serioso che ero diventata e che s'è portato via l'influenza di marzo (grazie al cielo, cominciavo a perdere le speranze).
Scrivo e mi piace, adesso conta solo questo. Scrivo e mi sento spensierata e anche un po' stupida che ci sta sempre bene, e aspetto con pazienza la notte in cui, dopo tante ore insonni, finalmente crollerò e riuscirò a dormire per sfinimento.

venerdì 8 maggio 2015

RIESUMAZIONI

Non so perché sono andata a riesumare una storia vecchia come il cucco (peraltro foriera di ricordi che... lasciamo perdere) per martoriarla, proseguirla e chissà, forse finirla... che poi vorrei sapere, se mi è concesso chiederlo, da dove cacchio viene questo bisogno di avere sempre delle spiegazioni per tutto?
Le cose a volte accadono, fine.
Per forza poi ho problemi di accettazione...
Comunque, dicevo, ho riesumato quella storia e la sto ritoccando per riprenderla e finirla a tempo perso, cioè tanto per esercitarmi a scrivere qualcosa tutti i giorni (giacché non lo faccio, e dire che sono una scrittrice quando non scrivo è un po' millantare), cioè senza particolari aspettative, insomma, cazzomene, viene come viene ed è una cosa a mio uso e consumo. Niente condivisioni né pressioni.

Poco fa ho finito di leggere "La campana di vetro" di Sylvia Plath e adesso mi sento malissimo, come svuotata, come se avessi perso un'amica. Io non ho i suoi trascorsi psichiatrici (per fortuna, direi), ma gli esaurimenti e i momenti in cui ho meditato seriamente sul suicidio non mi sono mancati, ed era quindi impossibile che le sue righe non mi toccassero profondamente, in qualche modo. Lo sapevo ancora prima di cominciare a leggere, ma saperlo non mi è stato di alcun aiuto. Sigh.
Ah, c'è poi la questione non secondaria del suo stile che mi fa pensare, nell'ordine, che è ingiusto che sia morta prima di poter donare al mondo altri romanzi e che porca quella puttana, io non ho un quarto del suo talento (è vero anche che finché non mi esercito come si deve a scrivere non potrò neanche migliorare - vedere paragrafo precedente - ma è indubbiamente più comodo scaricare la colpa su una genetica mancanza di talento).
Comunque, con questo chiudo la parentesi FEELS per un po' e stasera comincio "Le montagne della follia" di Lovecraft prima di buttarmi a capofitto su tutti i suoi racconti, un tomo che conta più di 1500 pagine e che penso mi porterà via l'intera estate. Libro ricco, mi ci ficco!