martedì 31 luglio 2012

SINISTRI BAGLIORI

Anziché smanettare su LCDRA in preparazione al Camp NaNoWriMo che inizia tra un po' sono andata a rispolverare un vecchio racconto, non so nemmeno io perché.
La mia mente sforna una decina di possibili trame/scene al giorno, ormai ho anche smesso di prendere sempre appunti perché tanto poi si accumulano e finiscono per perdersi e per non servirmi a una mazza, al contrario del tempo che essendo sempre contato invece mi serve tutto, e così mi scordo costantemente di tutte le cartelle compilate con tanto amore a pc e ordinate ed etichettate nell'archivio cartaceo, piene di storie iniziate e mai finite (ogni occasione è buona per far comparire una cartellina colorata con etichetta, data, e tanti foglietti volanti dentro) (non ho MAI superato questa fase della scuola elementare. Potete darmi cancelleria e tenermi buona per una giornata intera. Datemi delle cartelline e della Coccoina da sniffare e sarò la vostra schiava). Me ne dimentico finché non arriva la vigilia di una gara di scrittura e io non ho di meglio da fare che guardarle e soffiare via le ragnatele.
In questo specifico caso ero convinta di leggere una schifezza (il racconto incompiuto è datato marzo 2009), invece ho trovato trenta pagine nient'affatto male, con dei personaggi carini e coccolosi e solo un rimorchio di puntini di sospensione, che da sempre sono il mio punto debole (puntini di sospensione COME SE PIOVESSE). E niente, ci volevo scrivere un post, e quasi quasi volevo anche pensare a un finale per quella storia che ad un certo punto mi è scappata di mano, e che per questo ho lasciato andare alla deriva. Temevo, come spesso accade, che se avessi continuato a scrivere senza una meta precisa i personaggi si sarebbero impadroniti del mondo in cui li avevo messi, e di conseguenza avrei dovuto inseguirli per anni in attesa che smettessero di sminchiare e concludessero qualcosa, ma poi ho pensato, perché ho così tanta paura dei progetti a lungo termine? Guardare i personaggi che sminchiano non è forse il mio mestiere?
Adesso credo di aver capito qual è il problema e di potermi dare una risposta.
Il problema è che un giorno mi sono messa in testa che per fare bene quello che volevo fare (la scrittrice) dovevo per forza diventare seria, lavorare duro e fare fatica, perché solo la fatica e il lavoro duro portano a qualche risultato, e così mi sono dimenticata che, al contrario, la prima e unica regola valida per far bene questo mestiere (e qualunque mestiere al mondo) è divertirsi. Perciò ho cominciato ad avere paura di quello che non potevo tenere sotto controllo. Ho lasciato che Persefone imbrigliasse la mia fantasia, che ingessasse la mia spontaneità e si prendesse tutto quello che mi rendeva felice e che mi appagava e me lo nascondesse perché avevo paura che se non gliel'avessi concesso di mia spontanea volontà lei si sarebbe comunque arrangiata, facendomela poi pagare doppiamente. Sì, sembra un ragionamento così schifosamente contorto lo so, ma so anche che l'essere schifosamente contorti in fondo non è una caratteristica solo mia.
Allora prima, alla fine della lettura, mi sono chiesta se forse non è arrivato il momento di mandare un po' (a fare in culo) in ferie Persefone, di prendere quei vecchi racconti senza finale e provare a vedere come sono maturati nel corso degli anni. Così senza troppo impegno, quando ho cinque minuti nell'arco della giornata, cinque minuti che non so proprio come impiegare (e che non impiego facendo sogni erotici che hanno per protagonisti me e Christopher Wolstenholme). 
Credo che tutti quei poveri progetti in fondo se lo meritino, per avermi aspettata in silenzio così tanto a lungo...


(La casa che mi ispirò questo racconto,
e che adesso con mio sommo dispiacere
stanno restaurando...*sigh*)
SINISTRI BAGLIORI
Nel pomeriggio, il tempo aveva cambiato umore e si mostrava indeciso tra il lasciar spazio alle nuvole o al sole.
Ally e Frances, dopo aver mangiato, si prepararono con cura per il loro programma pomeridiano che consisteva nel non far nulla e ciondolare tra la casa e il giardino fino a ora di cena. 
Ally naturalmente mostrò subito di preferire il giardino, dove sapeva che non avrebbe incontrato Jake, e Frankie, per quanto fosse contraria alla sua ostinazione a non volersi presentare, l'accontentò e le tenne compagnia all'aperto. Dopo aver vagato per un'oretta in una piccola rimessa dove lo zio Rupert teneva la sua vecchia auto e altre cianfrusaglie se ne rimasero sul retro della casa, sedute su una panchina a guardare semplicemente il cielo. Fu allora, durante uno dei pochi momenti che trascorsero a parlare, che Ally menzionò la faccenda del flash visto alcune ore prima. Fece appena in tempo a finire la spiegazione che un leggero bagliore intermittente colpì il retro della casa facendola sobbalzare.
Frankie, che distesa supina aveva appoggiato la testa sul suo grembo, a momenti cadde per terra di faccia.
«L'hai visto? L'hai visto, vero?»

«Sì, l'ho visto...ma non c'era bisogno di scattare in piedi in quel modo, Ally! A momenti mi spacco il naso.»

«Oh dai, lascia perdere il naso e le buone maniere, dobbiamo scoprire che cos'è quella luce.»
Detto ciò, Ally prese a girare su se stessa scrutando nelle immediate vicinanze, che non sembravano avere nulla da offrire più del normale spettacolo di un quartiere residenziale, alla ricerca di risposte. Frankie la raggiunse e iniziò anche lei a guardarsi intorno.
«Tu che cosa pensi che sia quella luce?»

«Non ne ho la minima idea.»

«Qualcosa di soprannaturale?»
Doveva essere stata la visita alla casa di quella mattina a convincere Frankie che lei avesse qualche speciale feeling col soprannaturale.
«Bah, non credo...e poi sei tu la strega, no? Dovrei essere io a farti queste domande.»
«Io sarò pure una strega ma sei tu quella con l'occhio fino...non dimentichiamo la tua performance in camera del vecchio» le sussurrò Frankie, mezzo divertita «quella macchiolina microscopica io non l'avrei vista neanche se avessi avuto due occhi in più.»

«È stato un caso...e comunque non era poi così microscopica.»

«Io invece penso che tu abbia qualche strano potere.»
«Fantastico, questa proprio mi mancava...»
Ridendo, Frankie le diede una spintarella.
«Scherzo scema!»
«Puoi essere seria per un attimo? Insomma, queste lucine intermittenti mi perseguitano da stamattina, voglio scoprire che cosa sono e mi serve il tuo aiuto.»

«Va bene, sarò seria, promesso.»

Un altro breve bagliore le colpì e sembrò rimbalzare contro la casa ma fu troppo rapido perché potessero individuarne la provenienza.
Stanche di girare a vuoto, anche se con una punta di delusione, le ragazze giunsero alla conclusione che forse i bagliori erano provocati da qualche finestra, che aperta e poi chiusa aveva fatto rimbalzare i raggi di sole.
«Non ne sono per niente convinta» brontolò Ally «ma è l'unica spiegazione che ha senso.»
«Dai, non te la prendere, in fin dei conti questa casa di cose strane ne ha già abbastanza, non ti pare?»
«Anche questo è vero.»
Ally riprese posto sulla panchina, e Frankie appoggiò di nuovo la testa sul suo grembo.
Scese tra loro un altro lungo silenzio, necessario e privo di imbarazzo, durante il quale ognuna ebbe modo di organizzare i propri pensieri o forse, di indirizzarli lontano a dove essi si ostinavano ad andare.
Frankie aveva una sua precisa teoria sulle luci, che si divertì a smontare e rimontare svariate volte prima di decidersi ad esporla ad Ally che dal canto suo, trovata una soluzione plausibile che aveva svelato l'arcano, lottava per allontanare la mente da Jake e dai suoi grandi occhi verdi. Era la prima volta in vita sua che sentiva lo stomaco gorgogliare per uno stimolo diverso da quello della fame, da una colica e da un'indigestione, e quel fatto la sorprendeva e la spiazzava al punto che temeva si potesse vedere dall'esterno, come se avesse avuto una scritta luminosa ad intermittenza sopra la testa.
MI PIACE JAKE. MI PIACE JAKE. MI PIACE JAKE.

«Hey, sai che cosa dovremmo fare?»

Quando la voce di Frankie ruppe il mantra, Ally ne fu così felice che pensò che si sarebbe messa a ridere.
«Cosa?»

«Dovremmo guardare dove puntano le luci.»

«E perché?»
Frankie si sollevò a sedere.
«Hai mai sentito quelle storie che parlano di apparizioni di luci o di colpi battuti contro le porte...»

«I poltergeist?»

«Sì, tipo quella roba lì, quei segnali che rimandano le persone a qualche scheletro murato in casa, la cui anima vaga ancora nel mondo dei vivi per attirare su di sé l'attenzione e far seppellire le sue povere spoglie mortali in terra consacrata.»
Ally scoppiò a ridere, e Frankie la seguì.
«Ma ti senti quando parli? Da dove le hai tirate fuori tutte queste cazzate?»
«Dai miei libri preferiti...da dove sennò?»
Per un istante, Ally osservò con attenzione le pareti scrostate della vecchia casa, forse soppesando le parole di Frankie, o forse ricordando di tutte le trame intessute su quella falsariga.

«Sai che cosa ti dico io? Che se continuiamo così, a parlare di fantasmi e di scheletri, stanotte non dormiremo.»

O meglio, io non dormirò, si disse Ally.
Le era bastato formulare un breve pensiero, sfiorarlo appena con un soffio e quello si era già materializzato nella sua veglia, mentre la testa, che perlomeno si era liberata dal pensiero fisso di Jake, predisponeva i suoi operai per sfornare domande alle quali poi si sarebbe sentita in dovere di dare una risposta.
Il fantasma di chi?
Nascosto dove?
Quando?
E perché?
È Gabrielle, murata viva in qualche stanza? Il suo corpo è ancora intatto? E come fa a mandare le luci oltre le pareti? E perché mandarle proprio a lei e Frankie?
«Ally...sei ancora nel mondo reale?»
«Certo.»

«Hai di nuovo quell'espressione in faccia.»

«Quale espressione?»

«L'espressione di una che vede qualcosa che gli altri non vedono.»

«Ma ti sei proprio fissata con quella storia, eh! Stavo solo valutando la tua teoria...che non è niente male. Magari è vero, dobbiamo solo trovare il modo di abbattere le pareti della casa senza farci scoprire da Rupert. Dai, andiamo a prendere il martello!»
«Non sei divertente, lo sai? Non mi piace quando mi prendi in giro.»
Ally sorrise, costringendo la cugina ad ammorbidirsi subito.
Sapevano entrambe che il silenzio in cui si erano ritrovate così in sintonia aveva fatto da collante alla loro amicizia.

«Sai quando ti ho detto, qualche ora fa, che a volte ho l'impressione di dormire anche da sveglia? È questo che intendo...non è che posso vedere prima le cose che devono succedere, o che quello che provo sia poi reale e l'hai visto anche tu in quella camera stamattina. Le mie sono solo fantasie...fantasie che prendono corpo davanti ai miei occhi, e che sono così vive da sembrare reali.»
Frankie prese un lungo respiro, si distese nuovamente supina e lasciò che gli occhi vagassero per il cielo spruzzato di nuvole.
«Questo come ti fa sentire?»
«A volte non male, ma è raro. Più spesso è doloroso, perché quello che vedo...le mie fantasie insomma, di solito sono brutte, e la notte tornano a tormentarmi.»
«Io ci vivo, nei miei tormenti.»
Frankie sospirò ancora e il suo sguardo si incupì mentre il sole veniva improvvisamente inghiottito dal grigio di una nuvola.
«Di giorno e di notte, il mio incubo è lì...sempre lo stesso, solo che non è un vero e proprio incubo, non è il prodotto di una mente stressata come dice quella vacca di mia madre, ma è una cosa che ho vissuto veramente. È tutto vero, verissimo!»
D'istinto, Ally posò una mano sul viso della cugina, sul suo fresco pallore appena tinto di rosa.
Voleva dirle che le credeva pur senza sapere nulla, che sapeva che lei non le avrebbe mai mentito ma le parole non vollero uscire. Se Frankie avesse parlato, poi sarebbe toccato a lei.
«Sono stanca di avere paura, Ally...sono davvero stanca.»
«Lo so. Lo sono anch'io.»
Frankie si rialzò di scatto e si mise seduta. Con una carezza furtiva, il vento le scompigliò i capelli.
«Vorresti provare a fare una cosa con me?»
Lo stomaco di Ally gorgogliò, di nuovo per l'emozione.

«Che cosa?»

«Smettere di prendere le medicine.»
«Stai scherzando, vero?»
«No.»
Ally la fissò a lungo negli occhi in attesa di poter approfittare di un attimo di cedimento. Ma Frankie non cedette, e quelle schegge di metallo scintillante non mandarono nemmeno un fremito.
«Ma potrebbe essere...pericoloso.»
La cugina si sporse verso di lei, la voce ridotta ad un sussurro.

«Non mi hai detto, poco fa, che vivi in una specie di mondo parallelo? Che le tue fantasie ti tormentano giorno e notte?»

«Sì ma...»
«Le pillole di fanno forse sentire o dormire meglio?»
Con quella domanda sapeva benissimo di sfondare una porta aperta, perché aveva assistito in prima persona al terribile risveglio di Ally di quella stessa mattina.
«No.»
«E non hai mai pensato che forse sono quelle che ti tengono in quello stato penoso?»
«No, non ci ho mai pensato...ma lo escludo. Non posso credere che i miei genitori mi permettano di prendere qualcosa che mi fa male.»
Non aveva neanche finito la frase che le era venuta voglia di andarsi a sciacquare la bocca con la candeggina. Non era affatto sicura che sua madre le avrebbe permesso di non stare male. Se si fosse sentita meglio magari avrebbe preteso di arrangiarsi, di allontanarsi da lei...no, non poteva farlo. Doveva espiare la sua colpa. Se non avesse fatto quella cosa terribile un anno prima, forse avrebbe potuto pretendere di più. Non ci aveva mai pensato, ma Frankie le aveva appena fatto notare che aveva capito una cosa fondamentale di lei: che era un'autolesionista.
«Davvero?»
Gli occhi di Frankie dicevano che Linda e Gail erano sorelle, dicevano che i trascorsi di quella famiglia non erano maligne invenzioni ma fatti supportati da prove concrete.
È una famiglia di svitati, Ally! Viviamo in mezzo ai folli ma noi non lo siamo! Sono quelle donne che ci vogliono rendere come loro, come se dovessimo portare avanti la tradizione.
«Senti, Frankie, dico davvero...potrebbe essere pericoloso.»
«D'accordo, ascolta, facciamo così: proviamo solo per una volta, ok? Dai, vienimi incontro...solo per una notte. Se poi succede il finimondo, giuro che non ti chiederò mai più di farlo.»
«Lo giuri davvero?»
«Parola d'onore!»
Una notte, una notte sola.
Si può fare, pensò Ally, e nel momento stesso in cui accettò, ancor prima di dirlo a Frankie, sentì un brivido di gioia vitale percorrerle la schiena.

«E se poi non riusciamo a dormire?»

«Oh, non aver paura» la rassicurò l'altra, al settimo cielo per la sua pensata e per aver convinto sua cugina ad accettare la sfida «se non riusciamo a dormire ho un sacco di storie da raccontarti per tirar mattina.»

Non si videro altri lampi fino al tardo pomeriggio, né dal cielo né da altrove, ma quando il vento smise di essere carezzevole e si fece più audace, le ragazze vennero richiamate in casa dalle rispettive madri per prepararsi alla cena.

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