Ripensando agli ultimi quattro giorni trascorsi, guardandoli con un po' di distacco, ho la netta impressione di aver vissuto due vite completamente diverse, e che in confronto ai miei sbalzi d'umore le montagne russe più grandi e alte dell'universo sono la scala mobile di un centro commerciale.
Giovedì sera, vigilia della partenza per Venezia, ero uno straccetto usato che a mezzanotte meno un quarto ancora non aveva preparato la valigia. Quel ciclo che aveva perso due treni e tre coincidenze ha deciso di arrivare venerdì intorno all'una di notte mentre già ero piegata in due per i crampi, in lacrime, mezza dentro e mezza fuori dalla valigia, e mentre mi trascinavo da una stanza all'altra cercando di rendermi conto in tempi utili se, come spesso accade, stavo portando via cose inutili e dimenticando l'essenziale (alla fine ho solo portato via della roba in più, che non è stato grave finché non ho dovuto trascinare un trolley di tipo venticinque chili su e giù per i ponti di Venezia).
Poi tra venerdì e ieri pomeriggio alle tre e mezza il mondo si è annullato. La depressione, l'ansia, il mal di schiena, i crampi... tutto si è annullato, sono stata benissimo, c'era solo la Piccola Me felice e spensierata, quasi senza appetito, talmente instancabile da fare letteralmente un buco a uno stivale per il troppo camminare. Poi ovviamente sono tornata a casa e ho ritrovato tutto quello che avevo lasciato, e mi è presa l'angoscia, ma dopo aver messo una lunga notte di sonno tra il rientro e l'inizio di una nuova settimana la vita si è un po' riassestata.
Credevo che avrei pensato molto alla Lennie mentre ero a Venezia, credevo che avrei visto la città con gli occhi con cui l'avevo guardata anni fa standoci per un po' insieme a lei e invece non mi è successo. Ho fatto il suo nome più di una volta, era inevitabile, ma senza grandi sentimenti.
Credevo, pensandoci giorni prima di partire, che se avessi trascorso più della canonica mezza giornata a Venezia quella poi mi avrebbe stregata e avevo ragione, ho lasciato pezzetti di cuore un po' dappertutto tra le calli, piazza San Marco e la lunga via degli alberghi dopo Palazzo Ducale che non avevo mai ammirato con il buio, e che d'ora in poi saranno un rifugio meraviglioso in cui correre quando sarò di nuovo triste.
Ho parlato così tanto con la Ele che non mi ricordavo più perché avevo deciso di allontanarmi da lei. A mente fredda credo di aver capito almeno in parte la ragione, ma mi interessa così poco adesso che non mi voglio dilungare. Credo anche che non dovrei, che per una volta potrei dispensarmi dal fare a pezzi i miei sentimenti per analizzarli e scoprire come sono fatti dentro, per una volta potrei tenerli come sono, immacolati, e dire semplicemente grazie per quello che ho avuto perché è stato bellissimo e mi ha arricchita.
Domenica, smadonnando per trascinare il trolley pesantissimo su e giù per il ponte vicino alla stazione che non so di quanti scalini sia composto ma a me sono sembrati ottomila, ho pensato che quella fatica e il peso del trolley erano una metafora perfetta per rappresentare la mia vita com'è stata negli ultimi tempi: un'inutile, pazzesca sfacchinata. Ma la domanda utile in tutto ciò è... la valigia chi l'aveva preparata? Chi l'aveva riempita con cose non necessarie manco la destinazione fosse il pianeta Marte dove non ci sono negozi per una eventuale emergenza? Io, certo. Io ho riempito quella valigia e sono sempre io a riempirmi la vita di pesi da portare su e giù per un numero incalcolabile di gradini, in un continuo salire e scendere senza scopo (vabbè, magari mi viene un bel culo a fare tanto movimento, ma di bei culi n'è pieno il mondo).
Ho capito che se non torno a scrivere e a creare sul serio non sarò mai più felice. Solo di questo ho bisogno, di riuscire ad esprimermi come mi riesce anche se non sforno capolavori, di essere libera di avere un mondo interiore da ragazzina, forse persino un po' sciocco e superficiale, perché senza tutto questo, quando non è terribile la mia realtà manca di un tassello fondamentale.
Avevo messo da parte tutta la mia spontaneità, i sogni e le fantasie perché credevo che senza sarei stata meglio, che sarei stata più "concreta" e mi sarei sentita sollevata: non è stato così, e adesso è arrivato il momento di tornare indietro e di concentrarmi unicamente sul divertimento, non su quello che dovrà accadere dopo.
Credevo, pensandoci giorni prima di partire, che se avessi trascorso più della canonica mezza giornata a Venezia quella poi mi avrebbe stregata e avevo ragione, ho lasciato pezzetti di cuore un po' dappertutto tra le calli, piazza San Marco e la lunga via degli alberghi dopo Palazzo Ducale che non avevo mai ammirato con il buio, e che d'ora in poi saranno un rifugio meraviglioso in cui correre quando sarò di nuovo triste.
Ho parlato così tanto con la Ele che non mi ricordavo più perché avevo deciso di allontanarmi da lei. A mente fredda credo di aver capito almeno in parte la ragione, ma mi interessa così poco adesso che non mi voglio dilungare. Credo anche che non dovrei, che per una volta potrei dispensarmi dal fare a pezzi i miei sentimenti per analizzarli e scoprire come sono fatti dentro, per una volta potrei tenerli come sono, immacolati, e dire semplicemente grazie per quello che ho avuto perché è stato bellissimo e mi ha arricchita.
Domenica, smadonnando per trascinare il trolley pesantissimo su e giù per il ponte vicino alla stazione che non so di quanti scalini sia composto ma a me sono sembrati ottomila, ho pensato che quella fatica e il peso del trolley erano una metafora perfetta per rappresentare la mia vita com'è stata negli ultimi tempi: un'inutile, pazzesca sfacchinata. Ma la domanda utile in tutto ciò è... la valigia chi l'aveva preparata? Chi l'aveva riempita con cose non necessarie manco la destinazione fosse il pianeta Marte dove non ci sono negozi per una eventuale emergenza? Io, certo. Io ho riempito quella valigia e sono sempre io a riempirmi la vita di pesi da portare su e giù per un numero incalcolabile di gradini, in un continuo salire e scendere senza scopo (vabbè, magari mi viene un bel culo a fare tanto movimento, ma di bei culi n'è pieno il mondo).
Ho capito che se non torno a scrivere e a creare sul serio non sarò mai più felice. Solo di questo ho bisogno, di riuscire ad esprimermi come mi riesce anche se non sforno capolavori, di essere libera di avere un mondo interiore da ragazzina, forse persino un po' sciocco e superficiale, perché senza tutto questo, quando non è terribile la mia realtà manca di un tassello fondamentale.
Avevo messo da parte tutta la mia spontaneità, i sogni e le fantasie perché credevo che senza sarei stata meglio, che sarei stata più "concreta" e mi sarei sentita sollevata: non è stato così, e adesso è arrivato il momento di tornare indietro e di concentrarmi unicamente sul divertimento, non su quello che dovrà accadere dopo.
Nessun commento:
Posta un commento
Siamo in un blog libero, dì un po' quello che te pare!