domenica 4 febbraio 2018

INDISPENSABILI CIANFRUSAGLIE

Ogni volta che lascio passare tanto tempo tra un post e l'altro penso che forse è ora di chiudere il blog, di sospenderlo, di lasciarlo morire, di cancellarlo, ma poi finisce come con tante cianfrusaglie che ci sono nella mia vita: non riesco a buttarle. Le tengo perché ci sono affezionata, perché credo che abbiano ancora un valore. Nel caso specifico, credo che questo blog ne abbia sebbene neanche i più grandi sforzi mi facciano tornare in mente le vere motivazioni che mi hanno spinta ad aprirlo. Esiste da un tempo che magari sul calendario non è poi così degno di nota, ma che sembra lunghissimo perché dà voce a tutte le persone che sono stata dal 2010 ad oggi (e in fondo è una testimonianza positiva. Se fossi rimasta la stessa di sette anni fa dovrei ammettere di non essere umana - e di non aver imparato niente strada facendo).
Troppo spesso mi sono preoccupata che questo spazio avesse un'utilità o un senso per gli altri, anche per il solo fatto che insomma, se scrivi i cazzi tuoi in pubblico lo fai per un motivo, perché vuoi che vengano letti, magari commentati e condivisi, o no?, mentre adesso mi interessa così poco di quello che possono pensare gli altri, per non parlare della dubbia utilità dei miei post, che smettere di usarlo sarebbe la scelta più saggia.
«A chi vuoi che importino i fatti miei?» non va preso come un ritornello triste-acchiappa attenzioni ma come una semplice constatazione, una domanda retorica e nondimeno come una logica conseguenza di quanto appena scritto... i miei post sono senza utilità per tutti tranne che per me. Non scrivo recensioni, né ricette, né consigli. Non pubblico foto, non scrivo articoli. È solo un diario, un diario di cazzate, e dovrebbe andar bene così. Magari un giorno ci darò un taglio, o magari no. Se ripenso agli anni della gioventù, a come mi approcciavo allora alla scrittura, scrivere cazzate mi sembra quasi un modo di portare avanti una tradizione.
Quando andavo al liceo, e in alternativa a carta e penna al posto del pc c'era la Olivetti elettronica di mio padre, scrivevo pagine e pagine di scemenze più o meno come faccio adesso, solo che erano lettere per i posteri che iniziavano proprio così, con Cari Posteri... e finivano con tre o quattro facciate di resoconto sull'ultimo compito in classe di fisica, su quello che avevo fatto nel fine settimana con la best e su quant'era testa di cazzo il tizio che mi piaceva (e che non mi si inculava neanche per sbaglio).
Parliamo di resoconti che non servivano a un cazzo esattamente come non servono a un cazzo quelli che scrivo oggi, da donna adulta, eppure a metterli insieme mi divertivo un botto. Spingevo da parte tutto ciò a cui avrei dovuto dare la priorità (principalmente lo studio), mi sedevo davanti alla Olivetti con una tazza immensa di caffè solubile e tre o quattro Marlboro rosse e via a pestare sui tasti per ore. A volte ridevo perché mi trovavo proprio divertente, altre volte piangevo e mi sentivo una miserabile, ad ogni modo davo aria al cervello.
Ora, che razza di fregatura è stata diventare adulta? Vorrei rispondere a questa domanda continuando a dare la colpa al mondo (alla società, alla famiglia, a chiunque mi rifili il ritornello del "devi mettere la testa a posto!") se ho smesso di scrivere tanto per dare aria al cervello, divertirmi e basta, ma credo sia arrivato il momento di prendermi le mie responsabilità e di ammettere che sono IO il giudice più severo e bastardo di me stessa. Sono io l'unica responsabile - me lo scrivo con intento ottimista, senza biasimo - io che non mi concedo di essere sciocca, frivola, superficiale se qualche volta mi va di esserlo. Sono io quella che cerca sempre un significato per tutto, una ragione per tutto... quella seria e rigida come un manico di scopa. Poi mi lamento, ahi, che mal di schiena! - se smetti di portarci sopra la croce e di far la martire magari ti passa.
Sicché niente, alla fine ho perso il filo ma ho messo insieme un altro post per tenere vivo il blog, come scusa per non chiuderlo. Non oggi, dai. Magari domani.

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